sabato

Tre regole: equilibrio, semplicità, chiarezza


Nei miei ricordi - lavoravo durante il giorno
e frequentavo  un corso serale di grafica  -
è ancora viva l’immagine di un professore:
era un uomo non più giovane, comunicava
con un sorriso aperto e cordiale,
come noi vestiva jeans e maglioni colorati. 
Durante le lezioni sedeva tra i nostri banchi 
e con noi disegnava e colorava,
non sulla lavagna o dietro la cattedra.
Le sue idee ci arrivavano in presa diretta:
equilibrio, semplicità e chiarezza
erano i suoi insegnamenti,
teorici e pratici, per la vita e per la grafica.
Lavorava sui nostri schizzi, 
migliorandoli, stava accanto a noi,
osservando attentamente le nostra attività.
La sua dote la spendeva così:
il suo tratto preciso trasformava  i nostri disegni
che, improvvisamente, diventavano bozzetti speciali.
Comunicava direttamente con noi e ci insegnava,
tratto dopo tratto, la sua conoscenza.

(Joan Mirò - Ballerina II)


"Cosa abbiamo fatto noi grafici? Siamo partiti dall’autodidattismo
per preparare una didattica efficiente. Dal nostro primitivo slancio
scarso  di t ecnica bisognava offrire  agli  studenti  un  corredo
di buona tecnica  senza far loro perdere il necessario entusiasmo."
Albe Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi, Torino, 1978

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lunedì

"Voici mon secret. Il est très simple: On ne voit bien qu'avec le coeur. L'essentiel est invisible pout les yeux."

In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto il melo.."
"Chi sei", domandò il piccolo principe. "Sei molto carino..."
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, "sono così triste.."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata."
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire, 'addomesticare'?"
"Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?"
"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe. "Che cosa vuol dire 'addomesticare'?"
"Gli uomini", disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche delle galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?"
"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire 'addomesticare'?"
"È una cosa da molto dimenticata. vuol dire 'creare dei legami'.."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo."
"Comincio a capire", disse il piccolo principe. "C'è un fiore.. credo che mi abbia addomesticato.."
"È possibile", disse la volpe. "Capita di tutto, sulla Terra.."
"Oh! non è sulla Terra", disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa.
"Su un altro pianeta?"
"Sì."
"Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?"
"No."
"Questo mi interessa! E delle galline?"
"No."
"Non c'è niente di perfetto", sospirò la volpe.
Ma la volpe ritornò alla sua idea:
"La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù, in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane, e il grano, per me, è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano.."
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
"Per favore.. addomesticami", disse.
"Volentieri", rispose il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose."
"Non si conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!"
"Che bisogna fare?", domandò il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti siederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino.."
Il piccolo principe ritornò l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe. "Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore.. Ci vogliono i riti."
"Che cos'è un rito?", disse il piccolo principe.
"Anche questa è una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza."
Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!", disse la volpe, "piangerò.."
"La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi.."
"È vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!", disse il piccolo principe.
"È certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano."
Poi soggiunse:
"Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto."
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico, ed ora è per me unica al mondo."
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perchè è lei che io ho innaffiata. Perchè e lei che ho riparata col paravento. Perchè su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perchè è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perchè è la mia rosa."
E ritornò dalla volpe.
"Addio", disse.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi."
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripetè il piccolo principe per ricordarselo.
"È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante."
"È il tempo che ho perduto per la mia rosa..", sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa.."
"Io sono responsabile della mia rosa..", ripetè il piccolo principe per ricordarselo.

"Il piccolo principe"  Antoine De Saint-Exupéry - Capitolo XXI

venerdì

Tilly

L’ho trovata una fredda mattina di dicembre: ha capito che la guardavo e si è coricata sul dorso per farsi accarezzare, un gesto che in seguito avrebbe ripetuto molte volte. Stava lì, una volpina bastardina, affamata e sporca, muso allungato, occhi dorati e coda in movimento. Così ho deciso che sarebbe venuta con noi. Nella sua cuccia di legno ha trascorso qualche notte legata, abbaiando. Poi, l’inverno freddo ha giocato a suo favore, l’abbiamo lasciata dormire in casa. 

Le abbiamo dato un nome, Tilly.

Sempre affamata, di cibo e di affetto, ci ha amati da subito, ma ha capito che per stare con noi avrebbe dovuto rinunciare alla sua libertà, e da subito ha imparato ad obbedire. Nata per correre, partiva con uno scatto improvviso appena le toglievamo il guinzaglio. Scappava, ma dopo qualche ora ritornava: ricordo,una sera che pioveva, la mia disperazione ed il suo sguardo pieno di timore quando, aperta la porta, era là, fradicia d’acqua, sotto la pioggia battente.

Una sola volta l’abbiamo cercata per ore, chiamandola perché ritornasse (poi il veterinario ci avrebbe detto che sarebbero arrivati i suoi cuccioli). Da allora non ha più cercato di scappare  ma ogni tanto, guardandola, vedevo prati e orizzonti nel suo sguardo perso lontano. Non dimenticava e combatteva ancora con il suo desiderio di libertà: una notte, chiusa in una stanza,  nel tentativo di aprire la porta, aveva colorato la maniglia di rosso col sangue uscito delle zampe.

I ricordi arrivano da soli, scrivendo.

Le parole aiutano a definire i contorni della nostra memoria: i caldi pomeriggi estivi, le formiche sul pavimento grezzo, i giochi con la nostra figlia più piccola, un balzo improvviso per prendere una farfalla, l’immobilità silenziosa di fronte ad un branco di cani selvatici nel parco, le sue orme piccole vicino alle nostre nella neve, le giornate trascorse ad attenderci, il muso appoggiato per ore sulle mie gambe nelle sere invernali.

Un giorno di primavera , sulla porta di casa, abbiamo notato la sua improvvisa magrezza: dopo pochi mesi ci ha lasciato. Quando abbiamo visto che eravamo alla fine, avvolta in una calda coperta, in braccio e piangendo, l'abbiamo accompagnata - accarezzandola e parlandole - verso la sua meta, senza soffrire e cullata dalle nostre parole di affetto. La sera prima le avevamo dato il suo cibo preferito.

La immagino correre, libera, Tilly.

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mercoledì

Educazione alla critica

La vera educazione deve essere un’educazione alla critica. Fino a dieci anni (adesso forse è anche prima), il bambino può ripetere ancora: «L’ha detto la signora maestra, l’ha detto la mamma». Perché? Perché, per natura, chi ama il bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita, quello che di meglio ha scelto nella vita. Ma, ad un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino, l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi (in greco si dice pro-bállo, da cui deriva l’italiano “problema”). Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa problema, non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà irrazionalmente. Portato il sacco davanti agli occhi, ci si rovista dentro. Sempre in greco, questo “rovistarci dentro” si dice krinein, krísis, da cui deriva “critica”. La critica, perciò, consiste nel rendersi ragione delle cose, non ha un senso necessariamente negativo. Dunque, il giovane rovista dentro il sacco e con questa critica paragona quel che vede dentro, cioè quel che gli ha messo sulle spalle la tradizione, con i desideri del suo cuore: il criterio ultimo del giudizio, infatti, è in noi, altrimenti siamo alienati. Ed il criterio ultimo, che è in ciascuno di noi, è identico: è esigenza di vero, di bello, di buono. Al di qua o attraverso tutte le differenze possibili e immaginabili con cui la fantasia può giocare su queste esigenze, queste fondamentalmente rimangono identiche nelle mosse, anche se diverse per i connotati vari delle circostanze dell’esperienza. La nostra insistenza è sull’educazione critica: il ragazzo riceve dal passato attraverso un vissuto presente in cui si imbatte, che gli propone quel passato e gliene dà le ragioni; ma egli deve prendere questo passato e queste ragioni, mettersele davanti agli occhi, paragonarle con il proprio cuore e dire: «è vero», «non è vero», «dubito». E così, con l’aiuto di una compagnia (senza questa compagnia l’uomo è troppo alla mercé delle tempeste del suo cuore, nel senso non buono e istintivo del termine), può dire: «Sì» oppure «No». Così facendo, prende la sua fisionomia d’uomo. Abbiamo avuto troppa paura di questa critica, veramente. Oppure, chi non ne ha avuto paura, l’ha applicata senza sapere che cosa fosse, non l’ha applicata bene. La critica è stata ridotta a negatività, per ciò stesso che uno fa problema di una cosa che gli è stata detta. Io ti dico una cosa: porre un interrogativo su questa cosa, domandarsi: «è vero?», è diventato uguale a dubitarne. L’identità tra problema e dubbio è il disastro della coscienza della gioventù. Il dubbio è il termine di un’indagine (provvisorio o no, non so), ma il problema è l’invito a capire ciò che ho davanti, a scoprire un bene nuovo, una verità nuova, cioè ad averne una soddisfazione più carica e più matura. Senza uno di questi fattori: tradizione, vissuto presente che propone e dà le ragioni, critica - come ringrazio mio padre di avermi abituato a chiedere le ragioni di ogni cosa, quando, tutte le sere prima di addormentarsi, mi ripeteva: «Ti devi chiedere il perché. Chiediti il perché» (lui lo diceva per ben altri motivi!) -, il giovane è foglia frale lungi dal proprio ramo («Dove vai tu?», diceva Leopardi), vittima del vento dominante, della sua mutevolezza, vittima di un’opinione pubblica generale creata dal potere reale. Noi vogliamo - e questo è il nostro scopo - liberare i giovani: liberare i giovani dalla schiavitù mentale, dalla omologazione che rende schiavi mentalmente degli altri.

"Il rischio educativo" - Mons. Luigi Giussani

martedì

Affrontare le incertezze


"Una nuova coscienza comincia a emergere: il mondo umano, messo ovunque a confronto con le incertezze, è trascinato in una nuova avventura. Dobbiamo imparare ad affrontare l'incertezza, perchè viviamo in tempi che cambiano e in cui i valori sono ambivalenti, dove tutto è collegato. E' per questa ragione che l'educazione deve riconoscere le incertezze legate alla conoscenza"





"Une conscience nouvelle commence à émerger : l’homme, confronté de tous côtés aux incertitudes, est emporté dans une nouvelle aventure. Il faut apprendre à affronter l’incertitude, car nous vivons une époque changeante où les valeurs sont ambivalentes, où tout est lié. C’est pourquoi, l’éducation du futur doit revenir sur les incertitudes liées à la connaissance"






"Les sept savoirs nécessaires à l'éducation du futur" - Chapitre V : Affronter les incertitudes - Edgar Morin

lunedì

Cyrano de Bergerac, Monologo Scena VIII

Orsu' che dovrei fare?...
Cercarmi un protettore, eleggermi un signore,
e dell'ellera a guisa, che dell'olmo tutore
accarezza il gran tronco e ne lecca la scorza,
arrampicarmi, invece di salire per forza?
No, grazie! Dedicare, com' usa ogni ghiottone,
dei versi ai finanzieri? Far l'arte del buffone
pur di vedere alfine le labbra di un potente
schiudersi a un sorriso benigno e promettente?
No, grazie! Saziarsi di rospi? Digerire
lo stomaco per forza dell'andare e venire?
Consumar le ginocchia? Misurar le altrui scale?
Far continui prodigi di agilità dorsale?
No, grazie! Accarezzare con mano abile e scaltra
la capra e in tanto il cavolo inaffiare con l'altra?
E aver sempre il turibolo sotto de l'altrui mento
per la divina gioia del mutuo incensamento?
No, grazie! Progredire di girone in girone,
diventare un grand'uomo tra cinquanta persone,
e navigar con remi di madrigali, e avere
per buon vento i sospiri di vecchie fattucchiere?
No, grazie! Pubblicare presso un buon editore.
pagando, i propri versi! No, grazie dell'onore!
Brigar per farsi eleggere papa nei concistori
che per entro le bettole tengono i ciurmatori?
Sudar per farsi un nome su di un picciol sonetto
anzi che scriverne altri? Scoprire ingegno eletto
agl'incapaci, ai grulli; alle talpe dare ali,
lasciarsi sbigottire dal rumor dei giornali?
E sempre sospirare, pregare a mani tese:
- Pur che il mio nome appaia nel Mercurio francese?
No, grazie! Calcolare, tremar tutta la vita,
far più tosto una visita che una strofa tornita,
scriver suppliche, farsi qua e là presentare?...
Grazie, no! grazie no! grazie no! Ma... cantare,
sognar sereno e gaio, libero, indipendente,
aver l'occhio sicuro e la voce possente,
mettersi quando piaccia il feltro di traverso,
per un si, per un no, battersi o fare un verso!
Lavorar, senza cura di gloria o di fortuna,
a qual sia più gradito viaggio, nella luna!
Nulla che sia farina d'altri scrivere, e poi
modestamente dirsi: ragazzo mio, tu puoi
tenerti pago al frutto, pago al fiore, alla foglia
pur che nel tuo giardino, nel tuo, tu li raccoglia!
Poi, se venga il trionfo, per fortuna o per arte,
non dover dame a Cesare la più piccola parte,
aver tutta la palma della meta compita,
e, disdegnando d'essere l'ellera parassita,
pur non la quercia essendo, o il gran tiglio fronzuto
salir anche non alto, ma salir senza aiuto!


Cirano di Bergerac - Edmond Rostand - Traduzione di Mario Giobbe

domenica

Wassilj Kandinskij, Composition VIII, 1923


L’arte astratta
propone immagini
che non imitano la nostra realtà,
non la rappresentano
come viene da noi percepita


ed i contenuti
sono liberamente
interpretati ed espressi
con la creazione
di nuove forme e colori .








Wassilj Kandinskij - Composition VIII - 1923